domenica 15 gennaio 2017

Daphne Du Maurier - Taverna alla Giamaica





La scrittrice, divenuta famosa con il romanzo "Rebecca, la prima moglie", era appassionata lettrice dei romanzi inglesi dell'ottocento, vale a dire di scrittori come la Austen, le sorelle Bronte e Robert Louis Stevenson  e in effetti in questo romanzo riecheggiano le atmosfere cupe di certi romanzi di Stevenson come "Il ragazzo rapito", la descrizione di paesaggi inospitali come le brughiere nude e minacciose della Cornovaglia, spazzate dal vento, spesso intristite da un tempo piovoso e uggioso, efficaci per fare il paio con atmosfere interiori di paure indefinite e di mistero. Ed è in questo paesaggio solitario e desolato che Mary Yellan, fresca orfana di madre, giunge e scopre che la Taverna "Alla Giamaica", dove è destinata a vivere ospite della zia Mary,  non è solo un posto isolato e lugubre, ma è anche schivato e detestato dagli abitanti del luogo per la triste nomea che l'accompagna di ritrovo di manigoldi capitanati dal marito della zia Mary, individuo rozzo e prepotente, dedito al contrabbando e forse anche ad altro di peggio con la manica di farabutti in combutta con lui. Forse la storia si dipana un po' lentamente, ma la Du Maurier descrive personaggi e atmosfere credibili, inseriti in un contesto storico e sociale accettabile e tutto il romanzo è permeato da un senso di attesa e di angoscia fin quasi all'ultima pagina, quando ogni nodo viene sciolto e la suspense lascia il passo a un finale di speranza. In complesso un buon romanzo ma non un capolavoro.


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